Se c’è un dispetto che un grande protagonista della canzone francese può fare prima di dare l’ultimo saluto al mondo, Leo Ferré lo ha scelto per bene. Il suo ultimo tiro mancino – si dovrebbe pensare ad uno scherzo del destino, ma come si fa a non rimanere sorpresi dalla coincidenza? – si è materializzato sul calendario. Il cantautore che aveva portato al successo canzoni indimenticabili come Les anarchistes e Avec le temps, ha chiuso definitivamente gli occhi il 14 luglio 1993. Il suo personale 14 luglio, per far sapere – caso mai ci fossero stati ancora dubbi – che non se ne andava uno come tanti, uno degli ordinari borghesi che aveva disprezzato, ma un personaggio che aveva fatto dell’anticonformismo un’arte, oltre che una bandiera. Rivoluzionario anche negli estremi anagrafici, specie se pensiamo alla nascita nel Principato di Monaco nel 1916, l’ultimo posto a cui penseremmo come culla di intellettuali inclini alla rivolta.
Tra queste due date una vita fatta di canzoni, accesa passione per gli ideali anarchici e un amore invincibile per i poeti. Nel 1953 mette in scena un oratorio lirico, La chanson du mal-aimé, su testo di Apollinaire e nel 1957 è il primo cantautore a dedicare un intero disco all’opera di un poeta, e non a uno qualsiasi: quell’anno cadeva il centenario della pubblicazione dei Fiori del male di Charles Baudelaire, ed è al poeta maledetto per antonomasia che Ferré dedica il disco, appena un anno dopo aver pubblicato in prima persona una raccolta di poesie dal titolo Poète… vos papiers!, salutata con entusiasmo anche da André Breton, e aver pubblicato già un disco con diverse canzoni ispirate al poeta medievale francese Rutebeuf. Nel 1961 pubblica poi a un album di canzoni ispirate alle poesie di Louis Aragon, mentre nel 1967, in occasione del centenario della morte, Ferré torna a ispirarsi a Baudelaire per un doppio album. La carriera di chansonnier di Leo Ferré è costellata di confronti con i grandi della poesia francese e non solo: sue canzoni o interi dischi sono ispirati alle opere di François Villon, Artur Rimbaud, Pierre de Ronsard e gli italiani Cecco Angiolieri e Cesare Pavese, solo per citarne alcuni.
Al cantautore monegasco che amava i poeti e che con l’Italia instaurò un legame speciale, cantando in italiano e decidendo di stabilirsi dagli anni Settanta fino alla sua scomparsa in Toscana, i Têtes de Bois, formazione romana devota alla figura di Leo Ferré, dedicherà il proprio concerto a Poesia Festival venerdì 25 settembre alle ore 21 a Castelnuovo Rangone. Risale al 1994 il primo omaggio della band guidata da Andrea Satta a Ferré, con un disco autoprodotto dal titolo E anche se non fosse amore. Sulle orme del cantautore e poeta monegasco i Têtes de Bois torneranno ancora nel corso della loro carriera, con dischi-omaggio come Ferré, l’amore e la rivolta del 2002 ed Extra del 2014.
Un’occasione per riscoprire una voce immortale della canzone e l’opera di un’artista che ammirava e desiderava emulare i grandi poeti che avevano nutrito le sue letture e il suo desiderio di costruire un mondo diverso.