Carmina non dant panem dice un antico motto latino. La verità di questa affermazione è stata ripetuta da moltissimi poeti e artisti, magari scrollando le spalle e alzando gli occhi al cielo, per sottolineare con fatalismo la condizione precaria di chi si dedica alle arti o come lamento perché da tanto impegno e talento sarebbe lecito aspettarsi di che vivere.
Fuor di metafora, non del solo piacere della scrittura hanno vissuto in ogni tempo i poeti. I piaceri della tavola e del buon vino hanno appassionato anche molti di loro, spingendoli a lasciare nella propria produzione qualche traccia di questo amore.
A questo tema Poesia Festival dedica un evento con un protagonista che non poteva essere più adatto. Ivano Marescotti metterà in scena venerdì 25 settembre alle ore 21 a Marano sul Panaro il suo Linguàza. L’uomo è ciò che mangia, spettacolo che presenta un ricco repertorio di citazioni e letture tratte dai grandi della letteratura di ogni tempo rivelandone i “peccati di gola” preferiti. A partire dalla nota citazione del filosofo tedesco Feurbach contenuta nel titolo, la serata inanella ricordi, versi ed estratti dalle opere di autori come Marziale, Baudelaire, Neruda, Baldini, Shakespeare, Yeats, Metastasio. L’assortita selezione letteraria fa da contrappunto a una saporita e divertente aneddotica romagnola, dove i piaceri del cibo e del vino sono il pretesto per raccontare vicende di saggezza e ironia popolare che sanno illuminare con arguzia i fatti della vita.
Dalla Romagna all’Emilia. Quali i poeti della terra emiliana, golosa e amante della buona tavola, che hanno cantato le specialità di una cucina generosa? Tra i molti che si sono cimentati nell’impresa, c’è anche un illustre concittadino del festival. Ludovico Antonio Muratori (1672 – 1750) è stato uno dei più importanti intellettuali della sua epoca. Bibliotecario degli Estensi a Modena, erudito e appassionato studioso che si è dedicato a numerose discipline, dalle lingua antiche alla filologia, dalla numismatica alla filosofia morale, mantenne relazioni epistolari con molti intellettuali italiani ed europei del suo tempo ed è uno dei padri del metodo storiografico moderno. Tra i suoi molteplici interessi anche la poesia trovava uno spazio importante, con alcuni tentativi di scrittura in linea con le tendenze della letteratura dell’epoca.
Tra questi sono particolarmente curiosi i carmina macaronica giovanili. La “poesia maccheronica” è un genere che assume una sua fisionomia a partire dal Quattrocento recuperando la tradizione burlesca medievale. La lingua utilizzata per scrivere questo genere di componimenti è il latino. Non si tratta però del latino colto degli autori classici: se della prestigiosa lingua di cultura rimangono la sintassi e vengono per lo più rispettate le regole metriche proprie della poesia, il lessico è ricco di ibridazioni con il volgare, spesso richiamato nei registri più bassi, mentre i temi sono tutt’altro che “alti”: si parla spesso di cibo, elogiandone i sapori ed evocandolo in quantità smisurate, ma vi vengono ricordate anche altre funzioni corporali che mai avrebbero trovato posto nella letteratura “ufficiale”. Un incontro stridente fra registri lontanissimi che, nelle opere più riuscite, ancora oggi genera divertimento.
Con il Farinae elogium (“Elogio della farina”), Muratori coglie l’occasione per citare in rassegna numerosi dei piatti che ancora oggi si preparano in questo angolo di Emilia – e che evidentemente lui stesso adorava! –, golosità che nascono dalla semplicità della farina. Specialità senza tempo che ritornano nelle parole di un grande intellettuale di questi luoghi. Ecco la traduzione in italiano dell’Elogio della farina del prof. Gabriele Burzacchini, docente di Letteratura greca all’Università di Parma.
Elogio della farina
in relazione alle vivande
con essa
preparate.
Perché spalanchi gli occhi, o Musa?
Perché protendi il collo?
Stai forse ammirando i maccheroni cosparsi di formaggio?
Son figli della farina, questi.
Oh, le innumerevoli vivande fatte di farina!
Essa
alle cucine tanti servigi arreca.
L’ammirano
piattini, pignatte, padelle, mense, e degli uomini le bocche,
che senza questa vivere non possono.
Contemplo il quotidiano bisogno del pane,
della cui bontà la gola degli uomini non resta mai sazia.
Di torte, tortelli, tortellini
la sfoglia
è ancor niente.
Domandatelo ai fornai, che tanto le sono amici,
ed essi
gnocchi, tortiglioni, crescenti e crescentine
vi mostreranno.
Ridono i cuochi, mentre di farina numerose apprestano vivande,
e la tavola stessa
ora guarda stupefatta lasagne, ora tagliatelle,
ora ammira i lunghetti, ora gnocchetti, ora grattini.
Quanti sono, poi, i piatti di vermicelli!
Talora sono grossi, talvolta si fanno sottilissimi.
Ogni qual volta sfrigola la padella,
altrettante volte pure se ne estraggono rosolate frittelle.
Nella farina riconoscono la propria madre pasticci, e spongate,
e zuccherini e offelle, e sfogliate
dalla farina
traggono ghiotta origine.
Che dire, poi, dei contadini,
i quali
o che mescolino farina nei sughi di mosto,
o che nei “suoli” facciano ben unti borlenghi,
della sola utilità della farina
fanno uso.
O amata e riverita farina!
Tu che
nei marchingegni delle cucine tante volte sei adoperata,
e che
in tante vivande trasformata
alle nostre bocche svariato, saporito e gustoso
cibo somministri.