Il film Il giovane favoloso di Mario Martone (2014) ha affrontato la biografia di uno dei più grandi poeti di ogni tempo, Giacomo Leopardi. A partire dalla messa in scena di alcune delle poesie più note del suo repertorio, la figura del poeta viene raccontata dagli anni di Recanati a quelli di Firenze fino all’ultimo periodo napoletano, riassumendo attraverso alcuni fatti salienti la sua esistenza. Spesso, parlando di Leopardi, la sua biografia viene setacciata per comprendere o spiegarne le diverse fasi del pensiero, specialmente per quanto riguarda la salute malferma o le difficoltà nell’inserirsi nel contesto sociale e letterario del suo tempo.
Ma bastano questi pochi dettagli per spiegare il pensiero radicale dell’autore di liriche immortali come L’infinito, A Silvia e La ginestra? Accanto alla produzione poetica, Leopardi ha lasciato una grande quantità di altri scritti, dal noto Zibaldone ai diari personali, fino a un ricco epistolario che comprende le sue corrispondenze con alcuni dei maggiori letterati della sua epoca e con amici e familiari. Inoltre la sua personalità emerge anche dagli scritti delle persone che più gli furono vicine, come Pietro Giordani, tra i primissimi a riconoscerne il talento, e l’amico Antonio Ranieri.
Proprio da questa ricca documentazione, oltre che dal Canzoniere leopardiano, attinge Paola Pitagora per il suo Leopardi – Le voci dell’anima, che andrà in scena a Poesia Festival sabato 26 settembre alle ore 21 al Teatro La Venere di Savignano sul Panaro. Con il contrappunto di musiche da Chopin, Ravel, Brahms e Schumann eseguiti da Fabio Battistelli al clarinetto e da Marco Sollini al pianoforte, Paola Pitagora tratteggerà un Leopardi meno conosciuto attraverso le sue lettere all’amata sorella Paolina, brani dei diari giovanili e citazioni da scritti degli amici Giordani e Ranieri, alternandoli ai versi dei componimenti leopardiani.
Gli scritti di Leopardi sono una ricca di miniera di riflessioni filosofiche, di idee sulla civiltà e la letteratura, ma riservano anche parecchie sorprese. Ad esempio, com’era il rapporto del poeta di Recanati con la tavola? Le riflessioni leopardiane hanno toccato anche il tema della convivialità, ovvero del momento sociale dedicato al cibo. In un appunto inserito nello Zibaldone e scritto a Bologna il 6 luglio 1826, Leopardi mette a confronto la cultura del cibo del suo tempo con le abitudini degli antichi, di cui era profondo e appassionato conoscitore, confessando di mal tollerare l’usanza della conversazione a tavola, e preferendole quella che segue il momento da dedicare al cibo.
«Gli antichi però avevano ragione, perché essi non conversavano insieme a tavola, se non dopo mangiato, e nel tempo del simposio propriamente detto […] dopo il mangiare […]. Quello è il tempo in cui si avrebbe più allegria, più brio, più spirito, più buon umore, e più voglia di conversare e di ciarlare. Ma nel tempo delle vivande tacevano, o parlavano assai poco.
Noi […] parliamo mangiando. Ora io non posso mettermi nella testa che quell’unica ora del giorno in cui si ha la bocca impedita […] abbia da esser quell’ora appunto in cui più che mai si debba favellare […]. Ma io che ho a cuore la buona digestione, non credo di essere inumano se in quell’ora voglio parlare meno che mai, e se però pranzo solo. Tanto più che voglio potere smaltire il mio cibo in bocca secondo il mio bisogno, e non secondo quello degli altri, che spesso divorano e non fanno altro che imboccare e ingoiare. Del che se il loro stomaco si contenta, non segue che il mio se ne debba contentare, come pur bisognerebbe, mangiando in compagnia, per non fare aspettare, e per osservar le bienséances che gli antichi non credo curassero troppo in questo caso; altra ragione per cui essi facevano molto bene a mangiare in compagnia, come io credo fare ottimamente a mangiar da me».
Si è poi spesso citata la sua passione per i dolci, ma le sue preferenze in fatto di cucina è lui stesso a elencarle in un documento autografo conservato presso la biblioteca Nazionale di Napoli: una lista dei suoi 49 piatti preferiti. A queste ricette è stato dedicato anche un curioso libro a cavallo fra l’aneddotica letteraria e il ricettario, Leopardi a tavola, dal quale emerge un uomo che, mentre lavorava a scritti che sarebbero rimasti per molte generazioni a venire, era capace di appassionarsi alle cose della vita.