Cesare Viviani, la poesia degli opposti e l’Infinita fine
Una lunga carriera letteraria, iniziata negli anni Settanta e approdata dopo quarant’anni a un magistero autorevole. Uno dei poeti contemporanei più continui e apprezzati, Cesare Viviani, psicanalista ma soprattutto autore di numerose raccolte che hanno lascito un segno.
«La poesia si caratterizza per ciò che non è definibile – ha detto Viviani in una recente intervista – e non c’è modo di comparare testi poetici dicendo quale sia più riuscito. C’è differenza, senz’altro, ma non si può dimostrare. Non ci sono elementi di oggettività, anche se le forme retoriche e metriche possono essere studiate e spiegarci contenuti, ritmo e prosodia. L’essenza è indefinibile, e questo ci mette in difficoltà». In poesia Viviani affronta temi complessi, ed è uno dei poeti italiani che oggi più profondamente interroga il senso dell’esistere.
Cesare Viviani sarà ospite di Poesia Festival domenica 27 settembre presso la biblioteca “Lea Garofalo” di Castelfranco Emilia, in una mattinata che vedrà protagonisti anche Franco Arminio e Chandra Livia Candiani.
«Prima di tutto ci sono due parole fondamentali: “presenza” e “assenza” – spiega ancora Viviani – la vita è fatta di pieni e vuoti, e la presenza non può fare a meno dell’assenza. L’esperienza umana è illusoria perché cerca di eliminare l’assenza, che fa paura, e incrementare la presenza, cercando di riempire i vuoti». La poesia di Viviani ritorna ai concetti di meditazione e contemplazione, al confronto con ciò che non si riesce immediatamente a decifrare. Un atteggiamento che richiede di deporre la presunzione di poter comprendere e dare un ordine al mondo e domanda umiltà. Una forma di preghiera.
«È vero, forse la parola della mia poesia è sempre stata un’invocazione, una preghiera – afferma Viviani in una vecchia intervista – ma vorrei distinguere. C’è una richiesta di protezione e di aiuto che ogni sera sale dai nostri cuori rivolta a Dio, un Dio inteso come un padre buono, un fratello maggiore, un compagno soccorrevole, un Dio familiarizzato. E poi, invece, c’è un Dio a cui non si può dire e di cui si può dire, a cui non si può chiedere, impensabile, irrappresentabile. Ora la parola della poesia è quella che mette il pieno dell’affettività di fronte al vuoto dell’universo».
E sulla finitezza dell’universo Viviani torna anche nella sua più recente raccolta poetica, Infinita fine (2012), dove al lettore viene imposto un punto di vista straniante sulle cose umane. È come se la natura stessa prendesse la parola, in un flusso poetico e narrativo che somiglia a una lunga meditazione sull’accettazione pacificata del destino umano.