Canzone vs Poesia: le riflessioni di Umberto Fiori
«La canzone […] è un fatto artigianale e retorico – anche in senso buono, se vogliamo – perché c’è già qualcosa da dire, c’è già un valore da propugnare, un pubblico da accontentare, ci sono già delle aspettative. […] La poesia è molto più libera, e soprattutto non è predicazione, non è poesia nel senso deteriore, cioè non è far vedere “che bella poesia sto cantando”, e quindi è molto più libera perché è solitaria e perché il suo interlocutore è del tutto virtuale. Quando tu scrivi una poesia non hai la minima idea di chi la leggerà». Così parla Umberto Fiori del rapporto tra poesia e canzone in una bella intervista apparsa sul sito “Formavera”. Un argomento che lo interessa particolarmente, visto il suo percorso artistico. Negli anni Settanta cantante, chitarrista e autore di testi per la band progressive degli Stormy Six, Fiori, sospesa l’attività musicale, si dedica alla poesia pubblicando numerosi libri di versi e di saggi sulla letteratura.
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Al tema del confronto tra poesia e canzone, Umberto Fiori ha dedicato molte riflessioni, raccolte anche in un libro dal titolo Scrivere con la voce, nel quale sono presenti numerosi interventi sull’arte di scrivere canzoni e analisi della scrittura dei più noti cantautori italiani. E si tratta di un tema molto dibattuto, che ogni tanto riaffiora anche nel discorso pubblico. Sono i cantanti (o, meglio, i cantautori) i nuovi, più grandi poeti contemporanei? O almeno, coloro che li hanno sostituiti nell’immaginario popolare? E se così fosse, come mai ancora qualcuno, nel Terzo Millennio, ancora si ostina a scrivere in versi destinati alla pagina stampata, o al massimo a qualche lettura pubblica che non conquista le copertine delle cronache culturali?
Il problema, secondo Umberto Fiori, sta in una inopportuna sovrapposizione fra le due figure. «Di mettersi sullo stesso piano di Shakespeare – ha scritto lo stesso Fiori in un articolo per il sito “Doppiozero” – un poeta contemporaneo si vergognerebbe, conscio che magari chi lo legge conosce l’Amleto ed è in grado di valutare le disparità; quando si paragona a Dante, invece, il paroliere italiano sa che per il pubblico a cui è rivolta questa sparata il divino poeta è un santino ingiallito, un puro flatus vocis: nessuno si scandalizzerà, nessuno troverà ridicolo il paragone. Anche in questo, io credo, sta la forza di un canzonettista, la chiave del suo successo. Se riesce a “comunicare emozioni” a un pubblico di massa, è perché ne condivide senza sforzo la cultura, la sensibilità, il gusto. […] E proprio non capisce perché le sue opere debbano essere considerate arte di serie B».
Il tema è di difficile soluzione, specie in una società – e in un Paese come l’Italia in modo particolare – che predilige la via della semplificazione rispetto all’approfondimento. Disciplina alla quale invece Umberto Fiori si è costantemente dedicato, aiutando a far luce sul paradosso di una società che concede la qualifica di “scrittore” solo a chi pratica la letteratura in senso tradizionale – negandola quindi a chi comunque scrive per professione senza per forza dedicarsi a poesia o narrativa – salvo non riservare a quegli stessi “scrittori” abbastanza attenzione: l’Italia si trova costantemente molto indietro nelle classifiche dei paesi dove si legge di più. E, di contro, una società nella quale chi si dedica alla scrittura di canzoni, dietro il paragone spavaldo con i grandi poeti del passato, nasconde un insospettabile bisogno di legittimazione proprio riferendosi a figure che ritiene di aver sorpassato.